La chiusura di MISNA

Con grande sofferenza apprendiamo la notizia della chiusura di MISNA.

MI.S.N.A. CHIUDE L’ATTIVITA’

Mi.s.n.a. chiude l’attività. Questa agenzia ha svolto servizio d’informazione la cui principale caratteristica è stata quella di basarsi su testimonianze di prima mano raccolte da corrispondenti – soprattutto missionari – presenti nei luoghi in cui i fatti raccontati accadevano.

Gli Istituti Missionari che l’hanno promossa e sostenuta nel corso di 18 anni (1997-2015), dopo un lungo periodo di difficoltà economiche e di gestione, sono giunti alla dolorosa decisione di cessare l’attività dell’Agenzia d’informazione con il prossimo 31 dicembre.

Gli interventi di volta in volta effettuati non hanno portato ad una soluzione duratura, né altre ipotesi con adeguata efficacia sono state prospettate.

Mi.s.n.a. ringrazia tutti coloro che in questi anni di attività hanno collaborato nelle forme più diverse alla sua realizzazione di un servizio stimato ed apprezzato.

Roma, 22 dicembre 2015

P. Gottardo Pasqualetti

(Presidente di Mi.s.n.a. Impresa Sociale)

Ancora sul rischio insufficienza alimentare

Dalla Radio Vaticana di ieri.

Etiopia: rischio carestia per 10 milioni di persone

Dieci milioni di persone rischiano di morire di fame per la siccità che sta colpendo l’Etiopia. Anche se ha uno dei tassi di crescita più elevati in Africa, l’economia dell’Etiopia dipende ancora pesantemente dall’agricoltura, che impiega tre quarti della forza lavoro della nazione che conta 95 milioni di persone. E’ la più grave siccità degli ultimi trent’anni e dimostra come i cambiamenti climatici siano strettamente legati all’emergenza alimentare. Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Vichi De Marchi, portavoce del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite.

R. – Sappiamo che in questi mesi “El Niño” sta causando fortissime perturbazioni, con conseguenti zone esposte a siccità. E ad essere colpita è soprattutto l’Africa australe e orientale. È una spirale: si inizia dal raccolto; e poi la siccità arriva anche al bestiame, che non ha di che abbeverarsi né di che mangiare. La siccità è insomma una catena talmente intrecciata che le conseguenze della siccità sull’agricoltura hanno un impatto immediato sulle condizioni di vita in generale della popolazione.

D. – L’Africa è più vulnerabile di altri Continenti ai cambiamenti climatici?

R. – Assolutamente sì, perché non solo ci sono moltissime regioni molto povere, ma perché gran parte del sistema economico di molti Paesi africani è basato sull’agricoltura, sulla pastorizia, tutte attività che dipendono dalle precipitazioni. Dobbiamo pensare che nel mondo ci sono 500 milioni di piccole famiglie contadine, che sono il cuore del mondo agricolo, e gran parte di queste sono contadini che dipendono dal clima. Proprio in questi giorni di conclusione dei lavori di COP21, abbiamo presentato una mappa interattiva per poter incrociare i dati che riguardano l’andamento climatico, l’insicurezza o la sicurezza alimentare, e gli elementi economici o sociali. E facendo delle proiezioni da qui al 2030, al 2050 fino al 2080, vediamo che senza un drastico intervento per ridurre le emissioni nocive, il clima sarà sempre più un fattore di insicurezza alimentare.

D. – E questo porta anche a conflitti per le risorse?

R. – Ci sono due elementi che riguardano i conflitti: da una parte le guerre generano fame; e nello stesso tempo la fame è un generatore di conflitti. La fame, il cibo e l’acqua. Sempre di più oggi i conflitti nascono anche per il controllo di quest’ultima risorsa che sta diventando più preziosa che mai.

D. – L’Etiopia negli ultimi dieci anni ha avuto una grande crescita economica, di 10 punti di Pil, ma è ancora legata all’andamento delle piogge e della carestia. Come si fa a prevenire una siccità di tale portata?

R. – Innanzitutto c’è una responsabilità del mondo internazionale nell’affrontare il tema del clima. L’altro elemento è che bisogna costruire i fattori di resilienza, per non far trovare le popolazioni impreparate alla siccità. Per esempio le sperimentazioni sulle sementi più resistenti anche a periodi di poca pioggia. Ora, proprio in Etiopia c’è un progetto che ha avuto moltissimo successo – il “Progetto Meret” – basato sul lavoro in campagna per costruire vasche d’acqua comunicanti, in modo che anche quelle poche risorse che ci sono siano gestite al meglio e in tutto il loro valore.

Congresso su malattie dimenticate ad Addis Abeba

Dalla Radio Vaticana di ieri.

In Etiopia un meeting per battere le malattie della povertà

In Etiopia, ad Addis Abeba, è in corso un convegno internazionale per discutere delle malattie ancora da debellare nei Paesi in via di sviluppo. La sfida è combattere da una parte la povertà che porta a contrarre malattie rare, dall’altra migliorare le condizioni igieniche per non morire più con patologie ormai trascurabili in Europa. Veronica Di Benedetto Montaccini ha chiesto ad Aldo Morrone, presidente dell’Istituto Mediterraneo di Ematologia, quali sono le prospettive di ricerca per contrastare questa piaga che colpisce ancora due miliardi di persone:

R. – Il Convegno internazionale abbiamo deciso di organizzarlo in territorio etiopico partendo dalla capitale Addis Abeba e poi spostandoci al confine con l’Eritrea perché è una zona dove le malattie si diffondono drammaticamente e in questo modo possiamo mostrare ai vari ricercatori internazionali che intervengono con noi in questo convegno quello che può fare l’Occidente per contrastare la diffusione delle malattie della povertà che qui vengono chiamate “Neglected Tropical Diseases” e che colpiscono oltre due miliardi di persone nel mondo, determinando la morte di oltre 400 milioni.

D. – Il Nobel per la Medicina è stato assegnato a ricercatori che si sono impegnati contro le malattie della povertà. Quali sono queste malattie, e rappresentano effettivamente una piaga ancora oggi?

R. – Sono molto contento che il Premio Nobel per la Medicina quest’anno sia stato assegnato a tre ricercatori che hanno lavorato soprattutto sull’individuazione di un farmaco – l’ivermectina – che può contrastare e guarire quella che viene chiamata “la cecità dei fiumi”: l’oncocerchiasi, la filariasi, la leishmaniosi e a un’altra ricercatrice su un farmaco per far guarire dalla malaria, l’artemisina. Queste sono malattie che in questa area del mondo uccidono milioni di persone dopo aver distrutto la loro vita perché prima ancora di ammalarsi con febbre alta, diventano cieche. Ora si tratta però di far sì che questi farmaci possano essere alla portata di tutti, anche delle persone più povere che sono la maggioranza in quest’area del mondo.

D. – Malattie curabili in Occidente sono ancora mortali in Paesi in via di sviluppo. Perché succede ancora questo?

R. – Dall’ipertensione arteriosa al diabete all’ulcera gastrica, a problemi cardiocircolatori, a problemi polmonari come una polmonite o una bronchite, ma mentre in Occidente sono facilmente guaribili, qui diventano drammatiche. Uno, perché vengono diagnosticate tardivamente; due, perché non ci sono i farmaci; tre, non ci sono gli ospedali dove possono essere ricoverate queste persone. Noi abbiamo costruito e aperto alle persone più povere tre ospedali in quest’area del mondo, e tutte e tre ai confini con l’Eritrea dove sono presenti centinaia di migliaia di rifugiati eritrei fuggiti dal loro Paese, molti dei quali sono in attesa di poter attraversare i confini con il Sudan e avviarsi verso quel terribile percorso che potrebbe portarli in Libia e poi in gran parte a morire nel Mediterraneo. La nostra presenza tende ad aiutarli a rimanere qui, a curarli, a fare in modo che abbiano un futuro invece di affrontare il rischio di morire.

D. – Quali sono le misure concrete per debellare queste malattie?

R. – Noi dobbiamo fare un piano, come fu fatto dopo la guerra per l’Europa: il cosiddetto “Piano Marshall”. Bisogna che gli studiosi, i ricercatori delle università dei Paesi occidentali – qui al convegno internazionale sono rappresentati oltre 22 Paesi occidentali – si mettano insieme e investano risorse professionali, risorse finanziarie e soprattutto risorse strutturali per far sì che anche in questa parte del mondo ci sia un futuro di dignità soprattutto per donne e bambini. La gravidanza diventa sempre più un pericolo di morte, la nascita diventa un elemento pericoloso per le mamme e per i bambini. Per questo abbiamo aperto dei centri materno-infantili dove le donne possano partorire gratuitamente con l’assistenza di personale locale qualificato e preparato da noi. Questo vuol dire dare futuro, dignità e salute a queste popolazioni e in questo modo darle anche all’Europa.

Il nuovo progetto sanitario in Dawro e Konta

Inizia oggi il nostro nuovo progetto sanitario in Dawro e Konta, in sinergia con i frati cappuccini dell’Emilia Romagna e d’Etiopia.